SU RE
Il Sistema Bibliotecario “Monte Linas” e la Biblioteca dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente di San Gavino Monreale propongono la visione del film “Su Re”, del 2013, scritto e diretto da Giovanni Columbu, girato interamente in Sardegna in lingua sarda e incentrato sulla Passione di Cristo.
La TRAMA:
Nel sepolcro Maria piange sul corpo del figlio. Tutto è già accaduto, ma gli antefatti si riaffacciano come ricordi e come sogni destinati a durare per sempre. La passione di Cristo prende vita nelle terre aspre della Sardegna, in un luogo diverso da quello storico, come nelle opere dei pittori rinascimentali che rappresentarono gli episodi narrati nel Vangelo ambientandoli nel loro tempo, nei loro paesi e con i loro costumi.
Introduzione-commento del film di don Antonio Pinna, co-direttore dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente di San Gavino Monreale, che ringraziamo vivamente per la disponibilità:
<<Del film SU Re diciamo ciò che altri non possono dire: il confronto tra l’inizio e la fine della storia del film. Il primo momento fu quando Giovanni Columbu mi chiese udienza presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, a Cagliari, e mi manifestò l’idea genetica del suo progetto: realizzare nel film una visione sinottica della vita di Gesù a partire dal momento della sua morte, e tutto in lingua sarda. Gli dissi subito della difficoltà del suo progetto: una visione sinottica della vita di Gesù era facile da farsi e da leggere su carta, ma sullo schermo come fare?
Il progetto del film appariva così fin dall’inizio innovativo, arduo e coraggioso.
Innovativo, perché, per ripresentare la storia di Gesù Cristo, intendeva tener conto delle “differenze testimoniali” dei quattro vangeli, a loro volta portavoce di quattro differenti ambienti o comunità, che di Gesù hanno evidenziato i tratti che avevano trovati più incisivi rispetto alle loro situazioni, necessità e speranze. Non si trattava quindi di rifare la “storia” alla maniera dei “colossal” antichi e forse anche moderni, ma di ripresentare i fatti come “memoria” filtrata da esperienze umane concrete e diverse. Da qui la decisione di partire dal momento finale della vita di Gesù e rivivere in flashback i fatti precedenti, capiti ora in modo nuovo e diverso, a seconda delle diverse “memorie”, tra loro complementari.
Arduo, perché se un tale “confronto sinottico” ha i suoi strumenti accademici ormai a lungo sperimentati nel modo degli studi, era invece del tutto non praticato nel modo del cinema (Pasolini mise in immagini un solo vangelo, quello di Matteo), e quindi il regista si trovava a percorrere vie artistiche del tutto nuove almeno a livello di scelte direttive.
Coraggioso, infine, perché conseguenza logica della impostazione del regista era che il suo film stesso sarebbe stata nuova “memoria” di una “quinta” comunità, “quinta” come simbolicamente erede delle “quattro” evangeliche del Nuovo Testamento. Se, cioè, gli “evangelisti” hanno rievocato il “passato” di Gesù alla luce di un duplice presente, del Risorto e delle comunità in cui scrivono, è chiaro che un film che vuole tener conto di questa molteplice memoria, si aggiunge esso stesso alla serie di queste “memorie”, rinnovando, nel suo tempo e nel suo luogo, nel suo “qui e ora”, quella “inculturazione della fede” che ha segnato il diffondersi e il radicarsi del vangelo nei diversi posti e tempi della storia.
La scelta, quindi, di girare il film in lingua sarda, nasceva non da una accondiscendenza circostanziale a tendenze regionali, ma dalla logica teologica contenuta nelle stesse premesse del progetto. Il film arriva così a dare espressione artistica alla convinzione dell’ultimo Concilio Plenario Sardo secondo cui la fede non è autentica se non è anche inculturata, radicata e innestata nella linfa della storia del popolo che l’accoglie (cf. n. 84). Di questa “più incarnata” espressione della fede, ancora secondo il Concilio Plenario Sardo, la lingua è parte essenziale, e della sua “adeguata valorizzazione” (n. 100) il film si fa portavoce artistico e teologico insieme.
Tenendo conto di questa memoria iniziale, cosa dire se la confrontiamo con il film così come lo vediamo? Ricordando le lunghe chiacchierate fatte con Giovanni Columbu, nelle quali insieme avevamo analizzato le differenze dei vangeli, a cominciare per motivi narrativi dal vangelo di Luca, una riflessione importante si impone, che forse va al cuore stesso di tutto il progetto. Perché, da una parte si potrebbe dire che l’impianto iniziale venne diverse volte modificato nelle varie sceneggiature stese nel passare degli anni (anche a cercare un difficile finanziamento), e poi forse alla fine superato non solo dagli adattamenti ai diversi personaggi interpretati da attori non professionali, ma anche dalla libertà con cui il regista si affidava alla loro inventiva interpretativa, e i cui discorsi “popolari” difficilmente potevano essere immaginati in anticipo in una stesura scritta (si veda solo per fare un esempio la testimonianza dei falsi testimoni al processo). Per altra parte, se il progetto iniziale di una visione fedele alle differenze sinottiche tra i vangeli è scomparso come tale, tuttavia in modo paradossale il film ne realizza la sua idea genetica profonda: quello di uno “straniamento” (antica idea in letteratura, rarissima in cinematografia) che ha come scopo di far emergere dei lati più nascosti della realtà, attraverso una specie di “decostruzione” operata con una varietà di strumenti tecnici (linguistici e visivi), ma che tutti hanno come effetto quello di coinvolgere la competenza interpretativa e innovativa della cultura del lettore o dello spettatore. È chiaro che in questa operazione di “straniamento” ha un ruolo importante l’uso della lingua, dei volti e dei paesaggi della Sardegna, questi ultimi con un ruolo in parte simile e in parte diverso dai paesaggi di Matera usati in altri film secondo uno stile “ricostruttivo”, per un’immaginaria rassomiglianza con l’antica realtà evangelica. In modo paradossale uno “straniamento” maggiore viene raggiunto proprio quando maggiore è anche l’ «incarnazione» del film in una realtà del tutto lontana sia da quella originale sia dalle consuetudini ricostruttive degli ormai “soliti” film (ormai li possiamo chiamare così) sulla vita del “Messia” di Nazaret , dalla Galilea a Gerusalemme.
Si può concludere, perciò, che il film ha trovato delle modalità, impreviste all’inizio, per essere fedele all’idea genetica del suo progetto, e arriva perciò a rappresentare non solo l’opera “innovativa, ardua e coraggiosa” del regista Giovanni Columbu che elabora progressivamente la sua intuizione, ma anche l’opera di una comunità che si riconosce in una memoria re-interpretata e condivisa, e diventa perciò testimonianza di una «incarnazione» che non ha ancora finito di prendere carne e sangue in un rinnovamento che sa sempre di vita risorta pur se vista finire sulle nude rocce della “Barbagia. Rocce che difficilmente gli spettatori, non solo sardi, dimenticheranno, perché la loro asperità è la stessa che i loro passi conoscono. Non per nulla, un titolo in qualche modo segreto, perché condiviso tra me e Giovanni Columbu anche nell’opportunità di non usarlo, era stato quello di “Passus paris”, “passi insieme”, nell’ambiguità, quanto mai invitante, di mettere insieme passi evangelici e passi di vita>> (Antonio Pinna)
Giovanni Columbu, il regista
Il Cast
Photogallery:
Nei seguenti link vi proponiamo un’intervista al regista, alcune clip e immagini del backstage.
Per chi fosse interessato alla visione integrale del film, il dvd è disponibile per il prestito nella Biblioteca dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente di San Gavino Monreale in Via Diana n. 11
In alternativa è possibile, previa registrazione, vedere il film sul seguente link:
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